TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    Il Tribunale, nella persona del Giudice  dott.  Luca  Minniti  ha
pronunciato la seguente ordinanza  nella  causa  civile  di  I  Grado
iscritta al n. r.g. 114740/2009 promossa da: 
        Antonietta Donati (codice fiscale: DNTNNT42C44D077N); 
        Angiola Donati (codice  fiscale:  DNTNGL45A52D077W),  con  il
patrocinio dell'avv. Scripelliti Nino  elettivamente  domiciliato  in
presso il difensore avv. Scripelliti Nino - attori. 
    Contro: 
        Josef  Eduard  Scheungraber;   Herbert   Stommel,   convenuti
Contumaci; 
        Repubblica Federale di Germania, con il patrocinio  dell'avv.
Dossena Augusto, elettivamente domiciliato in via Bolognese n.  55  -
50139 Firenze presso il difensore avv. Dossena Augusto - convenuto; 
        Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  con  il  patrocinio
dell'avv. Avvocatura dello Stato  elettivamente  domiciliata  in  via
Degli Arazzieri n. 4 - 50129 Firenze presso Avvocatura dello Stato  -
terzo chiamato. 
 
                    L'oggetto della controversia 
 
    La signora Antonietta Donati e la signora Angiola Donati con atto
di citazione notificato per via diplomatica convenivano  in  giudizio
la Repubblica Federale Tedesca il tenente Josef Eduard Scheugraber ed
il maggiore Herbert Stommel chiedendone la condanna  al  risarcimento
dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti da esse stesse per
la morte del signor Angiolo Donati (di cui gli  attori  sono  figlie)
ucciso nelle campagne di Falzano (Cortona) il 27 giugno 1944 ad opera
del 818° Battaglione Pionieri da Montagna  dell'esercito  tedesco  in
una operazione di rappresaglia contro i partigiani. 
    Riferivano che con sentenza n. 43 del 2006 emessa  dal  Tribunale
Militare di La Spezia i due  ufficiali  erano  stati  condannati  per
"concorso  in  violenza   con   omicidio   contro   privati   nemici,
pluriaggravata e continuata" con  pena  dell'ergastolo,  condanna  al
risarcimento  dei  danni  a  favor  delle  parti   civili   e   spese
processuali. 
    Le signore Donati si soffermano sulla  efferatezza  dell'omicidio
come ricostruito nella sentenza penale. 
    La Repubblica Federale di Germania si costituiva  affermando  che
"i tremendi crimini di guerra perpetrati ai danni  della  popolazione
civile inerme, costituisc(o)no una realta' storica inoppugnabile,  il
cui  peso  morale  ricade  sul  popolo   tedesco   e   per   la   cui
responsabilita' la Germania chiede anche in questa  sede  il  perdono
delle  vittime,  dei  loro  parenti  e  del  popolo  italiano  tutto.
Perdonare non significa voler dimenticare ed anzi la RFG auspica  che
possa essere  continuato  il  cammino  intrapreso  con  l'Italia  per
preservare il ricordo delle  deportazioni  e  degli  orrendi  crimini
commessi dai nazisti anche nel nostro Paese". 
    Per contro la Repubblica Federale di Germania eccepiva il difetto
di giurisdizione dell'autorita'  giudiziaria  italiana,  chiedeva  al
giudice di dare attuazione alla sentenza 3 febbraio 2012 della  Corte
Internazionale  di  Giustizia,  dichiarava  di   non   accettare   il
contraddittorio sul merito della vicenda chiedendo in ogni caso: 
        a) di esser autorizzata a chiamare in giudizio la  Repubblica
italiana per esser da lei  rilevata  indenne  ai  sensi  dell'accordo
italo tedesco del 2 giugno 1961; 
        b)  di  dichiarare  l'improcedibilita'  e  l'inammissibilita'
della domanda; 
        c) di dichiarare l'estinzione  del  diritto  per  intervenuta
prescrizione. 
    La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  della   Repubblica
italiana si e' costituita, prima ancora di esser  stata  chiamata  in
causa, sostenendo  l'obbligo  di  dare  esecuzione  alla  sentenza  3
febbraio  2012  della  Corte  Internazionale   di   Giustizia   anche
attraverso   l'adesione   alla   richiesta   di   esclusione    della
giurisdizione italiana. 
    La causa e' stata trattenuta in decisione il 27 giugno  2013  con
termini per conclusionali e repliche. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
    La questione  oggetto  del  presente  giudizio,  con  particolare
riferimento  ai  profili  che  rilevano  nel  decidere  se  negare  o
riconoscere la potesta' giurisdizionale della Repubblica italiana nei
confronti della Repubblica Federale Tedesca, e' stata gia' affrontata
dalla Corte di Cassazione in modo ripetuto ed  approfondito,  proprio
con riferimento ai crimini del Terzo Reich. 
    E' stata gia' affrontata e decisa anche dal Tribunale di  Firenze
con sentenze n. 1080, 1081, 1086 3913 del 2012 e sentenze 47 e 48 del
2013 nelle quali e' stata sempre negata la giurisdizione nazionale. 
    Anche nel presente giudizio, instaurato pochi giorni prima  della
pronuncia  della  Corte  dell'Aia,   si   tratta   di   valutare   se
l'ordinamento giuridico  dentro  il  quale  il  giudice  italiano  e'
chiamato a decidere  la  controversia,  nel  conformarsi  alle  norme
dell'ordinamento giuridico internazionale generalmente  riconosciute,
imponga al giudice dello Stato  dove  il  crimine  internazionale  e'
stato commesso, di negare l'accesso al giudizio  civile  risarcitorio
di accertamento e condanna, anche quando sul proprio  territorio  sia
stato leso un diritto fondamentale, mediante un crimine di  guerra  e
contro  l'umanita',  ancorche'  ad  opera   di   uno   Stato   estero
nell'esercizio di poteri sovrani. 
    Non e' in contestazione la natura di crimine  internazionale  del
fatto oggetto di causa e  la  sua  potenzialita'  lesiva  di  diritti
fondamentali della persona umana come consacrati  nella  Costituzione
italiana e nella Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  Europea
(2000/C 364/01). Anche considerato che  nell'ordinamento  interno,  i
diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione si
saldano necessariamente con le norme di jus cogens poste a tutela dei
diritti fondamentali della persona dal diritto internazionale venendo
in rilievo i medesimi valori  tendenzialmente  universali  di  tutela
della dignita' della persona. 
    Si legge in Cassazione Sez. Un. Civili , 29 maggio 2008, n. 14202
(che ha affermato  la  giurisdizione  italiana  in  caso  analogo  al
nostro) che la deportazione  e  l'assoggettamento  dei  deportati  al
lavoro  forzato  "e'  un  crimine  contro  l'umanita',   venendo   in
particolare, sempre  a  livello  di  comunita'  internazionale,  cosi
considerata  come  inequivocabilmente,  tra  l'altro,  emerge   dallo
Statuto delle Nazioni Unite firmato a Londra  l'8  agosto  1945,  sub
art. 6, lett. b); dalla Risoluzione 95 dell'11  dicembre  1946  della
Assemblea Generale delle N.U., dai Principi di diritto internazionale
adottati nel giugno 1950 dalla Commissione delle N.U., sub 6^,  dalle
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza n. 827/93 e n. 955/94, con  le
quali sono stati adottati, rispettivamente, lo statuto del  Tribunale
penale internazionale per la ex Jugoslavia (artt. 2 e 5) e lo Statuto
del Tribunale penale internazionale per  il  Ruanda  (art.  3);  sia,
infine, dalla Convenzione con la quale e' stata  istituita  la  Corte
penale internazionale, sottoscritta a Roma il 17 luglio 1998  da  ben
139 Stati (dei quali 120 ratificanti) ed  entrata  in  vigore  il  1°
luglio 2002 (art. 7/8). 
    E' noto poi che secondo un primo orientamento,  inaugurato  dalla
sentenza n. 5044/2004 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (caso
Ferrini), nel nostro ordinamento si e' affermato il principio secondo
cui l'immunita' dalla giurisdizione  (civile)  degli  Stati  (esteri)
riconosciuta  dal  diritto  internazionale  consuetudinario  non   ha
carattere assoluto ma puo' trovare un limite anche  quando  lo  Stato
operi nell'esercizio della sua sovranita', ove le condotte  integrino
crimini contro l'umanita', tali  quindi  da  configurare  un  crimine
internazionale. 
    Orientamento secondo il quale la tutela dei diritti  fondamentali
e'  affidata  a  norme,  inderogabili,  al  vertice  dell'ordinamento
internazionale, che prevalgono su ogni altra  disposizione  anche  di
carattere  consuetudinario;  per  tale  ragione  ne  sarebbe  sancita
l'imprescrittibilita'  e  ne  conseguirebbe   l'universalita'   della
giurisdizione, che non potrebbe  non  valere  anche  per  i  processi
civili che traggono origine da tali gravissimi reati. Sarebbe  dunque
"irrilevante  l'assenza  di  una   espressa   deroga   al   principio
dell'immunita':  il  valore,   ormai   riconosciuto,   di   principio
fondamentale dell'ordinamento internazionale al rispetto dei  diritti
inviolabili della persona umana ha degli inevitabili  riflessi  sugli
altri principi ivi operanti, tra cui quello del riconoscimento  della
immunita' statale dalla giurisdizione  civile  straniera,  secondo  i
principi generali dell'interpretazione delle  norme,  che  non  vanno
considerate separatamente ma in quanto  facenti  parti  del  medesimo
sistema, completandosi  ed  integrandosi  a  vicenda".  Secondo  tale
orientamento la Corte Suprema ha in passato  ripetutamente  affermato
che nell'ordinamento  internazionale  dovesse  ritenersi  vigente  il
principio,  sovraordinato  agli  altri,  di  preminenza  dei   valori
fondamentali della liberta' e della dignita' della  persona,  la  cui
lesione non e' consentita neppure  agli  Stati  nell'esercizio  della
loro sovranita'. 
    Principio che dopo la citata sentenza del 2004 ha poi trovato  un
assestamento anche argomentativo in tredici  analoghe  decisioni  del
2008 che, anche in replica alle  critiche  di  altre  Corti  supreme,
hanno affermato che la Corte non intendesse negare che i due principi
convivono nell'ordinamento internazionale: da un  lato  il  principio
dell'immunita' degli Stati (esteri) dalla giurisdizione (civile)  per
gli atti posti in essere nell'esercizio della sovranita'; dall'altro,
quello, di pari portata generale, del  primato  assoluto  dei  valori
fondamentali della liberta' e dignita' della persona  umana,  Ma  che
nel rispetto della gerarchia  dei  valori  il  secondo  dei  principi
finisse per conformare necessariamente il primo, dovendosi  assegnare
"prevalenza alla norma di rango piu' elevato,  ossia  quella  che  ha
assunto, anche nell'ordinamento internazionale, il ruolo di principio
fondamentale, per il suo contenuto assiologico di meta-valore" ( Sez.
Un. Civili, sentenza 29 maggio 2008, n. 14202, si  veda  anche  Cass.
Sent. I sez penale n. 1072 del 21 ottobre 2008). 
    Piu' di recente si e' invece affermato un diverso orientamento in
seno alla Corte  di  Cassazione  con  riferimento  alla  portata  del
principio dell'immunita' giurisdizionale degli Stati  per  atti  jure
imperii  nel  diritto  internazionale  vigente,  stalla  scia   della
pronuncia  emessa  dalla  Corte  Internazionale  di  Giustizia,   con
sentenza del 3 febbraio 2012 (Immunites Juridictionnelles  de  l'Etat
Allemagne c. Italie), secondo la quale  "il  diritto  consuetudinario
internazionale  continu(a)  a  prevedere  che  ad   uno   Stato   sia
riconosciuta l'immunita' in procedimenti per illeciti presumibilmente
commessi sul territorio di un altro Stato dalle proprie forze  armate
ed altri organismi statali nel corso di un conflitto  armato".  Stato
che in forza di tale inderogabile principio "non puo' essere  privato
dell'immunita' in  virtu'  del  fatto  che  lo  si  accusa  di  gravi
violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani". 
    A tale impostazione si sono  adeguate  le  Sezioni  Unite  civili
della Corte di  Cassazione  con  la  decisione  4284/2013  la  quale,
richiamando la piu' articolata sentenza  32139/2012  (Cass.  I  sez.,
pen.), hanno dichiarato  il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
italiano rilevando che "la tesi inaugurata dalla Cass.  5044/2004  e'
rimasta  isolata  e  non  e'  stata   convalidata   dalla   comunita'
internazionale di cui la Corte internazionale di giustizia e' massima
espressione, sicche' il principio (...) non puo'  essere  portato  ad
ulteriori applicazioni". 
    In particolare quale conferma di tale indirizzo e' stata letta la
sopravvenuta legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione  della  Repubblica
italiana  alla  Convenzione  delle  Nazioni  Unite  sulle   immunita'
giurisdizionali degli Stati e dei loro beni fatta a  New  York  il  2
dicembre 2004 nonche' nonne di adeguamento  all'ordinamento  interno)
nella  quale  l'art.   3   contiene   l'espressa   esclusione   della
giurisdizione italiana per i crimini di  guerra  commessi  dal  Terzo
Reich anche per i procedimenti in corso anche se nell'art. 2 ratifica
la convenzione citata che nell'art. 12 (in  ogni  caso  irretroattivo
per espressa previsione della convenzione stessa) prevede: 
      "Sempre che gli Stati interessati non convengano  diversamente,
uno Stato non puo' invocare l'immunita' giurisdizionale davanti a  un
tribunale  di  un  altro  Stato,  competente  in   materia,   in   un
procedimento concernente un'azione di riparazione pecuniaria in  caso
di decesso o di lesione dell'integrita' fisica di una persona,  o  in
caso di danno o di perdita di un bene tangibile, dovuti a un atto o a
un'omissione presumibilmente attribuibile allo Stato, se tale atto  o
omissione si sono prodotti, interamente o in  parte,  sul  territorio
dell'altro  Stato  e  se  l'autore  dell'atto  o  dell'omissione  era
presente su tale territorio nel momento in cui si e' prodotto  l'atto
o l'omissione". Mentre negli artt. 18 e 19 la Convenzione mantiene la
tendenziale immunita' per le misure cautelari ed esecutive. 
    Fatte queste brevi premesse e' un fatto, dunque, dal quale questo
giudice deve  muovere,  che  la  Corte  Internazionale  di  Giustizia
nell'affermare la permanenza della consuetudine internazionale  senza
alcun  limite  obiettivo  se  non  quello  della  connotazione  della
condotta come esercizio di funzioni pubbliche, ha  escluso  di  dover
valutare l'interferenza tra la tutela del diritto fondamentale  della
persona umana (pregiudicata  massicciamente  dai  crimini  del  Terzo
Reich anche sul territorio italiano) ed il  principio  di  sovranita'
dello Stato chiamato a rispondere del fatto  illecito:  la  Corte  ha
escluso infatti (con argomento criticato in dottrina e  nella  stessa
sentenza n. 32139/2012 della Cassazione I sez. pen.)  l'esistenza  di
conflitto  tra  norme  di  jus  cogens  materiali   e   norme   (come
l'immunita') ritenute formali o processuali  in  quanto  operanti  su
piani differenti (scrive la Corte Internazionale di  Giustizia  nella
sentenza 3 febbraio 2012 "even on the assumption that the proceedings
in the Italian courts involved violations of jus  cogens  rules,  the
applicability of customary international law on  State  immunity  was
not affected"). 
    Ma  se  da  una  parte  al  giudice  italiano  e'  sottratta   la
interpretazione della valenza imperativa e inderogabile  delle  norme
di jus cogens di diritto internazionale, ambito nel  quale  la  Corte
internazionale di giustizia ha una competenza assoluta ed  esclusiva,
non puo' pero' negarsi che questi sia  tenuto  a  verificare  se  sia
manifestamente infondato il dubbio che l'adozione indifferenziata di'
tale reciproca protezione in favore dei singoli stati  ed  in  danno,
nel caso in esame, dei singoli individui  gravemente  lesi,  non  sia
conforme all'ordinamento radicato  nella  Repubblica  italiana  sulla
base delle norme della Costituzione e  delle  sue  fonti  integrative
anche sovranazionali. 
    Le scelte che implica la questione sottoposta al giudicante  sono
di massimo rilievo per  la  ricostruzione  del  sistema  multilivello
delle fonti dell'ordinamento vigente sul territorio italiano e per la
collocazione   sistematica,   nel   suo   ambito,   degli   strumenti
giurisdizionali di tutela  dei  diritti  fondamentali  della  persona
umana imponendo all'interprete  di  verificare  se  l'apertura  verso
ordinamenti diversi,  contenuta  negli  artt.  10,  11  e  117  della
Costituzione della Repubblica italiana sia priva  o  meno  di  filtri
selettivi in grado di condizionare, nel caso in esame,  la  decisione
della pregiudiziale sollevata dalla Repubblica Federale di Germania. 
    Ad avviso di questo giudicante anche alla luce  della  fondazione
di un impianto normativo comune di  dimensione  sovranazionale  e  di
forza  sovrastatuale,  sempre  meno  settoriale   e   sempre   piu' -
oggettivamente - universale, oltre che radicato su un  ambito  sempre
piu' vasto del territorio europeo, deve mettersi seriamente in dubbio
che l'umanita' tra stati, tanto piu' verrebbe da sostenere tra  Stati
dell'Unione Europea, possa  ancora  consentire,  ancorehe'  solo  per
effetto di consuetudini  internazionali  anteriori  alla  entrata  in
vigore della Costituzione  e  della  Carta  dei  diritti  dell'Unione
Europea, l'esclusione incondizionata della tutela giurisdizionale dei
diritti fondamentali violati da atti iure imperii. 
    E' infatti la stessa  Corte  Internazionale  di  Giustizia  nella
menzionata  decisione  che  presuppone  in  primo  luogo  una   certa
configurazione del rapporto tra jus cogens e immunita'  statale  tale
da  riconoscere  la  lesione  concreta  e  definitiva  della   tutela
giurisdizionale del diritto violato. Si legge nella sentenza che "the
Court is not unaware that the immunity from jurisdietion  of  Germany
in accordance with international law may  preclude  judicial  redress
for the Italian nationals concerned. 
    It considers however that the  claims  arising...  could  be  the
subject of further negotiation involving the two States concerned". 
    Le  seguenti  considerazioni   sono,   percio',   necessariamente
connesse ai profili problematici  delle  argomentazioni  della  Corte
dell'Aja ma si pongono doverosamente  su  un  piano  diverso.  Quello
della ricostruzione dell'ordinamento interno  conformato  al  diritto
internazionale. 
    Proprio su questo piano non puo' soddisfare il giudicante, tenuto
a dare piena attuazione ai diritti fondamentali della persona  umana,
l'asserita (dalla Corte dell'Aia) inesistenza di conflitti tra  nonna
consuetudinaria internazionale che riconosce agli  Stati  l'immunita'
dalla giurisdizione e le norme di jus cogens. 
    Inesistenza ricavata dalla pretesa incomunicabilita'  (sui  piano
del diritto internazionale) tra i rispettivi  piani  applicativi:  la
violazione delle norme di  natura  materiale  con  valore  imperativo
inderogabile (dei diritti fondamentali dell'uomo anche se  calpestati
da una diffusa prassi di crimini di guerra e contro  l'umanita')  non
contrasterebbe con le  norme  internazionali  di  natura  procedurale
sull'immunita' statale, che si limitano a stabilire se i  giudici  di
uno Stato sono legittimati ad esercitare la loro giurisdizione  verso
un altro. 
    La Corte Internazionale di Giustizia non nega la  rilevanza,  sul
piano internazionale, delle norme di jus cogens, ma non  ammette  che
possa   esservi   un   contrasto   con   le   norme   consuetudinarie
sull'immunita' in relazione al  diverso  carattere  -  sostanziale  o
processuale - delle diverse categorie di disposizioni, non  esistendo
(o non essendo ancora venuta ad esistenza), a livello di  ordinamento
internazionale, una norma consuetudinaria  di  carattere  processuale
che limiti, corrispondentemente, l'immunita' degli Stati. 
    L'odierno giudicate deve pero', come si e'  affermato,  spostarsi
su altro piano, quello del  diritto  interno  come  risultante  dalla
integrazione  di  fonti  multilivello,  dovendo  verificare   se   il
principio  di  uguaglianza  sovrana   degli   Stati   con   esclusivo
riferimento  al  suo  corollario  in  materia  di   immunita'   possa
sacrificare la tutela  giurisdizionale  di  un  diritto  fondamentale
quando e se la tutela e' richiesta verso uno Stato diverso da  quello
di appartenenza del giudice  adito  che  abbia  commesso  un  crimine
internazionale ancorche' nell'esercizio di poteri sovrani. 
    In primo luogo, ad avviso del giudicante, non e' piu'  consentito
alla giurisdizione interna verificare se il  singolo  atto  criminoso
compiuto  dal  Terzo  Reich  sul  territorio  italiano   militarmente
occupato sia o meno collocabile tra gli atti iure imperii  dal  punto
di vista internazionale: si sarebbe potuto infatti sostenere che  non
tutti gli atti compiuti dai militari tedeschi del Terzo  Reich  siano
stati compiuti nell'esercizio di finzioni pubbliche ma  la  pronuncia
della Corte dell'Aja non lascia piu'  margini  di  valutazione  anche
sotto questo profilo. Nel caso di specie si e'  poi  trattato  di  un
caso di plurimo omicidio nel  corso  di  una  rappresaglia  contro  i
partigiani. 
    Ma come la stessa Corte Internazionale di Giustizia riconosce non
puo' non tenersi in  debito  conto  che  il  conferire  all'immunita'
internazionale  il  carattere  assoluto  confermato  dalla  Corte  di
giustizia internazionale vuoi  dire  precludere,  per  gli  individui
interessati, qualsiasi possibilita' di veder accertati e  tutelati  i
propri diritti, nel  caso  di  specie  gia'  negati  nell'ordinamento
interno tedesco. 
    Com'e'  noto  il  nostro  ordinamento  presenta   un   meccanismo
automatico   di    trasposizione    delle    norme    consuetudinarie
internazionali   contenuto   nell'art.   10,   primo   comma    della
Costituzione. 
    Con  una  risalente  sentenza  (n.  48   del   1979)   la   Corte
costituzionale affermo' - seppure incidentalmente - che, in  caso  di
contrasto tra norme internazionali immesse nell'ordinamento  italiano
mediante  l'art.  10,  comma  1,  Cost.   e   principi   fondamentali
dell'ordinamento italiano,  fossero  questi  ultimi  a  prevalere  ma
circoscrisse la portata del principio giuridico alle consuetudini che
si  fossero  formate  successivamente  all'entrata  in  vigore  della
Costituzione, tra le quali non rientravano le  norme  sull'immunita',
ritenute di formazione anteriore, (in questo senso  anche  Cassazione
sentenza n. 530/2000 sul caso Cermis). 
    Ad avviso del giudicante, l'invocazione del momento anteriore  di
insorgenza    della     consuetudine     internazionale     (recepita
nell'ordinamento interno solo attraverso l'art. 10, primo comma della
Costituzione) con la conseguente dedotta applicabilita' del  criterio
di  specialita'  per  la  soluzione  dei  conflitti  tra  le  diverse
categorie  di  norme  (consuetudine  internazionale  e  Costituzione)
implica il conferimento  alla  norma  consuetudinaria  internazionale
della stessa efficacia della Costituzione benche'  la  previsione  in
Costituzione  del  sistema  di  recepimento  automatico  non  sia  un
argomento sufficiente per assegnare alla norma recepita, nella specie
consuetudinaria, il rango di  fonte  costituzionale;  dovendosi  anzi
ritenere, che solo le  leggi  costituzionali  (ma  solo  entro  certi
limiti) siano parificate alla Costituzione e  possano  modificarla  o
derogarla. 
    Vero e' dunque che l'art. 10, comma 1, Cost.,  nel  disporre  che
l'ordinamento  interno  si   conformi   al   diritto   internazionale
generalmente  riconosciuto,  richiede  che  ogni  fonte  interna  sia
compatibile con  le  norme  consuetudinarie  internazionali,  con  la
conseguenza che essa assume valore di "norma interposta"  e  funzione
di norma parametro nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  cui
dovessero esser sottoposte le norme ordinarie interne  (eventualmente
contrastanti con  essa)  e  quindi  assoggettabili  al  controllo  di
costituzionalita' secondo il modello adottato in base al  nuovo  art.
117 Cost.. 
    Ma non meno vero e', per le ragioni che si  perviene  ad  esporre
che anche  la  consuetudine  internazionale  resta  subordinata  alla
Costituzione,  come  anche  le  norme  contenute  in  fonti  pattizie
recepite ex art. 11 e 117 Cost.. 
    Norma  consuetudinaria  internazionale   la   cui   trasposizione
nell'ordinamento interno assume il rango formale, grazie all'art. 10,
primo comma Cost. degli atti aventi forza di legge  assoggettabili  a
controllo di legalita' costituzionale in  base  all'art.  134,  primo
comma, della Costituzione. 
    Ad avviso del giudicate questa ipotesi ricostruttiva non  esclude
ed  anzi  impone  alla  giurisdizione  interna  la   verifica   della
legittimita'   costituzionale   della   nonna   consuetudinaria    di
provenienza internazionale, tanto nel  caso  che  sia  di  formazione
precedente che nel caso di sua creazione posteriore alla  entrata  in
vigore  della  Costituzione   e,   nell'ambito   materiale   di   sua
applicazione,  della  Carta  dei  diritti  dell'Unione  Europea  dopo
l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 
    La Corte costituzionale ha difatti ribadito il principio  con  la
sentenza 22 marzo 2001, n.  73,  affermando  nel  paragrafo  3.1  che
"L'orientamento di apertura dell'ordinamento italiano  nei  confronti
sia delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute,
sia  delle  norme  internazionali  convenzionali  incontra  i  limiti
necessari a garantirne l'identita' e quindi, innanzitutto,  i  limiti
derivanti dalla Costituzione. Cio' vale perfino nei casi  in  cui  la
Costituzione stessa offre all'adattamento al  diritto  internazionale
uno specifico fondamento, idoneo a conferire  alle  norme  introdotte
nell'ordinamento  italiano  un  particolare   valore   giuridico.   I
«principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale» e i  «diritti
inalienabili della persona» costituiscono infatti limite all'ingresso
tanto delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali
l'ordinamento giuridico italiano «si  conforma»  secondo  l'art.  10,
primo comma, della Costituzione (sentenza n.  48  del  1979);  quanto
delle  norme  contenute  in  trattati  istitutivi  di  organizzazioni
internazionali  aventi  gli  scopi  indicati  dall'art.   11,   della
Costituzione o derivatiti da tali organizzazioni  (sentenze  nn.  183
del 1973; 176 del 1981; 170 del 1984; 232 del 1989 e 168 del 1991). E
anche le norme bilaterali con le quali lo Stato e la Chiesa cattolica
regolano i loro rapporti, secondo  l'art.  7,  secondo  comma,  della
Costituzione,   incontrano,   quali   ostacoli   al   loro   ingresso
nell'ordinamento  italiano,  i  «principi  supremi   dell'ordinamento
costituzionale dello Stato» (sentenze nn. 30 e 31 del 1971; 12 e  195
del 1972; 175 del 1973; 16 del 1978; 16 e 18 del 1982). Le  norme  di
diritto internazionale pattizio prive di  un  particolare  fondamento
costituzionale assumono invece nell'ordinamento nazionale  il  valore
conferito loro dalla forza dell'atto che ne da' esecuzione  (sentenze
nn. 32 del 1999; 288 del 1997; 323 del 1989). Quando tale  esecuzione
e' disposta con  legge,  il  limite  costituzionale  vale  nella  sua
interezza, alla stessa stregua di quanto accade con riguardo  a  ogni
altra legge. Sottoponendo a controllo di costituzionalita'  la  legge
di esecuzione del trattato, e' possibile valutare la conformita' alla
Costituzione di quest'ultimo (ad esempio, sentenze nn. 183 del  1994;
446  del  1990;  20  del  1966)  e  addivenire   eventualmente   alla
dichiarazione  d'incostituzionalita'  della  legge   di   esecuzione,
qualora essa immetta, e nella parte in cui immette,  nell'ordinamento
norme incompatibili con la Costituzione (sentenze nn. 128  del  1987;
210 del 1986)". 
    E'  opinione  del  giudicante  che  la   forza   e   l'estensione
incondizionata  dell'adamantino  principio  affermato   dalla   Corte
costituzionale, in un contesto sovranazionale di rafforzamento  dello
ius  cogens  internazionale  di  cui  anche  la  Carta  dei   diritti
dell'Unione Europea ed il trattato di Lisbona sono il portato  ed  il
sintomo di emersione, induca a ritenere ingiustificato il  limite  al
controllo di costituzionalita'  individuato  nell'anteriorita'  delle
norme internazionali postulato dalla sentenza n. 48/1979, limite  che
sembra implicare, come si e'  scritto,  il  conferimento  alla  norma
consuetudinaria recepita dall'art. 10, primo comma Cost., di un rango
pari a quello delle norme costituzionali. 
    In questa direzione si e' mossa anche la  Corte  Suprema  che  ha
operato  il  controllo   di   compatibilita'   costituzionale   della
consuetudine internazionale (Cass. sez I penale 32139/2012 - par. 6). 
    Un ulteriore passaggio argomentativo merita  la  connessione  (di
rango costituzionale) tra diritti inviolabili della persona e diritto
alla  tutela  giurisdizionale.  Com'e'   noto   alcune   costituzioni
nazionali che  si  affacciano  sulla  scenario  europeo  del  secondo
dopoguerra - quella italiana e quella tedesca - nel  momento  in  cui
decidono di imporre  determinate  garanzie  attinenti  alla  funzione
giurisdizionale come "fondamentali" ed inviolabili nel  contesto  dei
diritti dell'individuo hanno provveduto  ad  enunciare  anzitutto  il
diritto di  agire  in  giudizio  connettendolo  inscindibilmente  con
l'affermata titolarita' di una posizione giuridica sostanziale: e' il
nostro art. 24 Costituzione, come il 19 §4 della  Legge  Fondamentale
tedesca ed oggi anche il piu' moderno art. 24 di quella spagnola. 
    La cultura giuridica ha diffuso la consapevolezza che, per citare
autorevole dottrina "un ordinamento che si limitasse ad affermare una
situazione  di  vantaggio  [...]   a   livello   sostanziale,   senza
predisporre a livello  di  diritto  processuale  strumenti  idonei  a
garantire l'attuazione del diritto anche in caso di  sua  violazione,
sarebbe un ordinamento incompleto, monco sarebbe un  ordinamento  che
non potrebbe essere qualificato come giuridico". 
    Il serio sospetto che  la  norma  consuetudinaria  in  esame  sia
affetta  da  incostituzionalita'  nasce  dunque   dalla   convinzione
maturata nell'odierno giudicante  che  sussista  allo  stato  attuale
dell'ordinamento italiano e che fosse  sussistente  gia'  al  momento
della  proposizione  della  domanda,  come   desumibile   dal   testo
costituzionale inveratosi nel processo storico alimentato dalle fonti
sovranazionali  europee,  un  principio  supremo  di   insopprimibile
garanzia di tutela giurisdizionale insuscettibile di cedere di fronte
alla norma consuetudinaria di diritto internazionale che  rileva  nel
caso concreto e cosi' come esplicitata dalla Corte Internazionale  di
Giustizia ogni qualvolta  a  ledere  il  diritto  fondamentale  della
persona umana sia un crimine contro l'umanita' commesso  nello  Stato
investito dall'obbligo di tutela giurisdizionale, ancorche'  commesso
da altro Stato nell'esercizio di poteri sovrani (iure imperii). 
    Alla  stregua  della  consolidata  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, non vi e' dubbio che  l'art.  24  della  Costituzione
enunci un principio fondamentale del nostro  ordinamento.  Valga  per
tutte  richiamare  la  sentenza  n.  18  del  1982,  nella  quale  e'
testualmente affermato che il diritto alla tutela giurisdizionale, va
ascritto   "tra   i   principi   supremi   del   nostro   ordinamento
costituzionale,  in  cui  e'  intimamente  connesso  con  lo   stesso
principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per  qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio". 
    E  diffusa,  sia  in  dottrina  che  in  giurisprudenza,  e'   la
consapevolezza che la tutela giurisdizionale  e'  stato  un  pilastro
fondamentale su cui e' progressivamente cresciuta l'attuazione  degli
artt. 2 e 3 della Costituzione. 
    Invocare l'eguaglianza sovrana tra gli  Stati  per  escludere  la
possibilita' di accertare e sanzionare in via giudiziale (in  assenza
di altre strade giuridicamente garantite) le gravissime violazioni di
diritti  umani  compiute  nel   perseguimento   di   sistematiche   e
programmate  azioni  di  sterminio  vuoi  dire,   nell'opinione   del
rimettente, rifiutare di  pronunciare  giustizia  davanti  a  crimini
internazionali che hanno  minacciato  l'umanita'  intera  minando  le
fondamenta stesse della coesistenza internazionale. 
    Se l'immunita' giurisdizionale, nei  limiti  della  tutela  verso
crimini contro l'umanita' commessi iure imperii,  non  trova  deroghe
nell'ordinamento  internazionale   puo'   invece,   ad   avviso   del
giudicante, rinvenirli nel sistema  costituzionale  dello  Repubblica
italiana come arricchito sotto l'influsso  della  civilta'  giuridica
raggiunta dai Paesi di una determinata  regione  geopolitica,  comune
peraltro alle parti in causa: valori fondativi che non possono essere
negati per effetto di una pronuncia della Corte dell'Aja,  interprete
invece solo dello ius commune della intera Comunita' Internazionale. 
    L'ordinamento internazionale peraltro gia' consente di esercitare
la giurisdizione nei confronti  dello  Stato  straniero  in  caso  di
violazioni, ad esso addebitabili, di obbligazioni negoziali e  marcia
verso il superamento parziale anche della immunita' per atti  sovrani
lesivi  della  dignita'  della  persona,  almeno  sul   piano   della
giurisdizione di cognizione. 
    Sicche', a fronte di ben  piu'  gravi  violazioni,  quali  quelle
costituenti  crimini  addirittura  contro  l'umanita'   intera,   che
"segnano anche il punto di rottura dell'esercizio  tollerabile  della
sovranita'", sarebbe irragionevole negarne la tutela giurisdizionale. 
    La confluenza  tra  norme  materiali  internazionali  e  principi
costituzionali  nazionali  (a  cominciare  dalla  clausola   generale
contenuta nell'art. 2 Cost.) impone che i secondi vengano a garantire
le prime  a  pena  della  loro  autonegazione  che  implicherebbe  il
trasferimento    dell'immunita'    dello    Stato    nell'ordinamento
internazionale dal piano processuale a quello sostanziale. 
    In definitiva vi e' un serio dubbio che il giudice italiano tanto
nella veste di giudice  dell'ordinamento  nazionale  (come  nel  caso
concreto)   quanto   nella   veste   di   giudice    dell'ordinamento
euro-unitario (nel suo ambito di competenza  materiale)  possa  oggi,
legittimamente,  accogliere  l'indicazione  contenuta  nella  replica
della Corte Internazionale  di  Giustizia  al  last  resort  argument
italiano. 
    Quella di negare l'accesso al processo rimettendo  la  protezione
individuale alle dinamiche dei rapporti  tra  organi  politici  degli
Stati che per decenni non hanno sono riusciti a trovare la soluzione. 
    E negare il processo civile di accertamento  e  condanna  per  le
aberranti   condotte   del   Terzo    Reich    implica    sacrificare
irrimediabilmente, ancora oggi  ed  a  distanza  di  molti  anni,  il
diritto ai diritti che, come scrive illustre  dottrina,  "connota  la
dimensione stessa dell'umano e della sua dignita'". 
    Da ultimo e' doveroso spiegare  che  ,  nel  caso  in  esame,  il
giudice non ritiene  percorribile  l'esercizio  di  un  controllo  di
legittimita'  della  norma   consuetudinaria   sull'immunita'   dalla
giurisdizione mediante la sua diretta disapplicazione  per  contrasto
con l'art. 24 Cost. La (pur  recentemente)  maturata  univocita'  del
diritto vivente ed in particolare la univoca pronuncia delle  Sezioni
Unite  della  Corte  di  Cassazione   porta   ad   escludere   questa
possibilita'. Va tenuto conto del fatto che la sentenza  della  Corte
Internazionale  di  Giustizia  contro  l'Italia   ha   affermato   la
responsabilita' del nostro Stato per le violazioni commesse dai  suoi
giudici; ha statuito  che  a  titolo  di  riparazione  l'Italia  deve
ripristinare la situazione che esisteva prima dell'illecito, anche se
ha negato il pericolo di recidiva evitando di ordinare all'Italia  di
adottare anche le misure necessarie per evitare future azioni fondate
sulle violazioni del diritto internazionale umanitario  commesse  dal
Reich fra 1943 e 1945. 
    Infine si torna a mettere  in  evidenza  che  e'  intervenuto  il
legislatore che, con la legge 14 gennaio  2013,  n.  5  ha  integrato
l'obbligo  di  dare   esecuzione   a   detta   sentenza,   di   fatto
cristallizzando il  diritto  secondo  la  ricostruzione  operata  dai
giudici internazionali. 
    Pertanto la via del  ricorso  alla  Corte  costituzionale  rimane
l'unica percorribile nel  rispetto  delle  prerogative  di  controllo
accentrato sul sistema delle fonti del diritto. 
    Ad avviso del giudicante per invocare  l'intervento  della  Corte
costituzionale, a fronte di un  diritto  vivente  consolidato  ,  non
rileva probabilmente la distinzione se il meccanismo  di  recepimento
di cui all'art.  10  Costituzione  determini  la  semplice  efficacia
nell'ordinamento italiano delle suddette norme internazionali  ovvero
dia luogo al sorgere di norme interne ad esse  corrispondenti  (dando
vita secondo una dottrina condivisa dal giudicante ad un fenomeno  di
creazione indiretta del diritto). 
    Certo e' che nell'odierno impetuoso avvicinamento di  ordinamenti
giuridici e' necessario sul piano sistematico mantenere  distinte  le
identita' formali delle fonti e dei processi di produzione  normativa
per  almeno  limitare  la  pur  inevitabile  incertezza  del  diritto
vivente, dando al giudice il bagaglio di strumenti per ricostruire la
gerarchia delle fonti nel nuovo mutato contesto. 
    Questo  giudice  ritiene  dunque  che  l'art.   10,   1°   comma,
Costituzione   abbia   prodotto   una   norma   interna   di   valore
sub-costituzionale (vedi sent. n. 73/2001 ma anche 348  e  349/  2007
Corte Cost.) conforme a quella accertata dalla  Corte  Internazionale
di Giustizia 3 febbraio 2012 nel giudizio tra Repubblica Federale  di
Germania ed Italia, norma di cui non e' manifestamente  infondato  il
dubbio di conformita' a Costituzione, anche se avente origine in  una
consuetudine anteriore alla sua entrata in vigore. 
    Cio' perche' tale meccanismo di  produzione  normativa,  efficace
nell'ordinamento nazionale dal giorno  di  entrata  in  vigore  della
Costituzione  e  dunque  riproduttiva  della   nonna   internazionale
consuetudinaria sulla immunita'  diventata  norma  interna  il  primo
gennaio  1948  contestualmente   alla   entrata   in   vigore   della
Costituzione, non e' idoneo a dar vita a norme di  valore  pari  alla
Costituzione  e  dunque  sottratte  al  controllo  di  compatibilita'
quantomeno con i suoi principi fondamentali quali  si  ritiene  esser
quelli contenuti negli artt. 2 e 24 Cost.. 
    Ed anche se l'affermazione della Corte costituzionale secondo  la
quale "nell'ipotesi di una norma interposta che risulti in  contrasto
con una norma costituzionale, questa Corte ha il dovere di dichiarare
l'inidoneita' della stessa ad integrare  il  parametro,  provvedendo,
nei modi rituali, ad espungerla dall'ordinamento giuridico  italiano"
(sentenza n. 348/2007, punto 4.6), avrebbe potuto far  pensare  anche
alla possibilita' di disapplicazione da parte del  giudice  ordinario
come conseguenza  della  inoperativita'  del  rinvio,  il  giudicante
ritiene obbligata l'opzione dell'incidente di costituzionalita' anche
esaminata la pronuncia n.  311  del  2009,  con  la  quale  la  Corte
costituzionale nel riferirsi al compito di verificare  che  le  norme
CEDU, nell'interpretazione della Corte di Strasburgo,  non  siano  in
contrasto con la Costituzione - puntualizza che  "il  verificarsi  di
tale ipotesi (...)  esclude  l'operativita'  del  rinvio  alla  norma
internazionale e, dunque, la sua idoneita' ad integrare il  parametro
dell'art. 117, primo comma, Cost.:  e,  non  potendosi  evidentemente
incidere sulla  sua  legittimita',  comporta  (...)  l'illegittimita'
(...) della legge di adattamento  (sentenze  n.  348  e  n.  349  del
2007)". 
    Questo giudicante per le ragioni sopra esposte,  preso  atto  del
diritto  vivente  nazionale  ed  internazionale,  ritiene  di   esser
obbligato a rimettere  la  questione  al  vaglio  del  giudice  della
legittimita' costituzionale  dovendosi  ritenere  non  manifestamente
infondata la  questione  di  costituzionalita'  della  norma  interna
(certamente creata ex art. 10, comma  1  Cost.  in  conformita'  alla
consuetudine  internazionale  formatasi  prima  della  Costituzione),
norma che nega nelle azioni risarcitorie  per  danni  da  crimini  di
guerra la giurisdizione dello Stato in cui l'illecito ha,  almeno  in
parte, prodotto i suoi effetti lesivi. 
    Non puo' in punto di  rilevanza  condividersi  la  tesi  espressa
dalla Corte di Cassazione sez. I penale 32139/2012, secondo la  quale
"il  diniego  della   attuale   sussistenza   di   una   consuetudine
internazionale quale quella divisata a suo tempo dalle Sezioni  Unite
di questa Corte comporta necessariamente l'inesistenza  delle  "norme
interposte" e fa venir  meno,  di  necessita',  alcuna  rilevanza  al
dubbio stesso di illegittimita' costituzionale". Perche'  e'  proprio
la diversa norma consuetudinaria negativa della giurisdizione  (nella
portata vincolante accertata dalla Corte di Giustizia Internazionale)
a dover esser sottoposta  al  vaglio  di  costituzionalita',  ma  non
secondo il parametro  di  norme  interposte  ma  secondo  quello  dei
superiori artt. 2 e 24 Cost. 
    Ne' puo' condividersi la tesi articolata nelle motivazioni  delle
gia' citate sentenze di questo  stesso  Tribunale  di  Firenze.  Tesi
secondo la quale anche prescindendo dal recepimento ex art. 10  Cost.
della norma consuetudinaria sulla immunita' degli Stati l'obbligo  di
adeguarsi alle  sentenze  della  Corte  di  Giustizia  Internazionale
sancito sul piano internazionale dall'art.  94  della  Carta  Onu  (e
trasposto nell'ordinamento interno con legge 17 agosto  1957  n.  848
attraverso l'art. 11 della Costituzione) sarebbe un obbligo che trova
fonte in norma di  rango  costituzionale  e  dunque  incensurabile  e
vincolante per questo giudice, di per se'. 
    Ad avviso del giudicante l'art. 94 dello  Statuto  delle  Nazioni
Unite che prescrive  che  "Ciascun  Membro  delle  Nazioni  Unite  si
impegna a conformarsi alla decisione della  Corte  Internazionale  di
Giustizia in ogni controversia di cui  esso  sia  parte"  poiche'  e'
trasposto nell'ordinamento interno dalla  legge  di  ratifica  avente
valore sub costituzionale anche se in forza di norma, questa si',  di
rango costituzionale (l'art. 11 Cost.) obbliga l'ordinamento  interno
solo se e nella parte in cui e' compatibile con la Costituzione. 
    Pertanto anche se la Corte di Cassazione Sez.  I  Penale  con  la
sentenza  n.  32139/2012  ha  ribadito  la  "totale  autonomia  della
funzione giurisdizionale - e pertanto  (del)  la  piena  liberta'  di
decidere  della  Corte  di  legittimita'  che  di  essa  e'   massima
espressione - da vincoli diretti ed immediati scaturenti  dal  dictum
della Corte  internazionale  "il  dubbio  di  costituzionalita'  deve
coinvolgere anche la legge 848 del 17 agosto 1957, nella parte in cui
recependo la Carta Onu ed in particolare  l'art.  94  dello  Statuto,
vincola tutti gli organi dello Stato; cio' perche' nel caso in  esame
l'efficacia  vincolante  del  recepimento  dello   Statuto   dell'Onu
acquisisce forza anche dall'art. 3, della legge 14 gennaio 2013, n. 5
dove e' stato positivizzato con norma di produzione interna l'obbligo
del  giudice  nazionale  di  adeguarsi  alla  pronuncia  della  Corte
Internazionale di  Giustizia  che  ha  negato  la  giurisdizione  del
giudice italiano nella causa di risarcimento del  danno  per  crimini
"iure imperii" commessi dal Terzo Reich nei territorio italiano. 
    Ne  consegue   anche   che   eguale   valutazione   di   sospetta
incostituzionalita' va  estesa  anche  all'art.  3,  della  legge  14
gennaio 2013, n. 5 entrata in vigore in corso di  causa,  a  sostegno
della  natura  precettiva   degli   obblighi   internazionali   sopra
identificati,   benche'   contenga   norme   conformi   alla    norma
consuetudinaria,  come  accertata  dalla  Corte   Internazionale   di
Giustizia,   in   ragione   della   non   manifestamente    infondata
incostituzionalita' anche di quest'ultima. 
    La non manifesta infondatezza  del  dubbio  di  costituzionalita'
colpisce dunque  anche  l'art.  3,  della  legge  5/2013,  certamente
applicabile, per espressa previsione, alle controversie pendenti, nel
quale si prevede che "Ai fini di cui all'art. 94, paragrafo 1,  dello
Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San  Francisco  il  26  giugno
1945 e reso esecutivo dalla legge 17 agosto 1957, n. 848,  quando  la
Corte internazionale di giustizia, con sentenza che  ha  definito  un
procedimento di cui e' stato parte  lo  Stato  italiano,  ha  escluso
l'assoggettamento  di  specifiche  condotte  di  altro   Stato   alla
giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende  controversia
relativa alle stesse condotte rileva, d'ufficio  e  anche  quando  ha
gia' emesso sentenza non  definitiva  passata  in  giudicato  che  ha
riconosciuto  la  sussistenza  della  giurisdizione,  il  difetto  di
giurisdizione in qualunque stato e grado del processo". 
    Come e' stato affermato in dottrina  il  giudice  comune,  quando
matura un dubbio  sulla  compatibilita'  con  la  Costituzione  degli
obblighi internazionali, deve sottoporlo alla Corte non  solo  quando
una norma statale sia in contrasto con essi ma anche quando una norma
statale sia conforme agli stessi. 
    E questa, per le ragioni sopra esposte, e' la situazione  in  cui
il giudice si trova nel decidere il caso in esame. 
    Da ultimo si ritiene di circoscrivere la questione sollevata,  in
quanto rilevante nel caso  di  specie,  solo  alla  giurisdizione  di
cognizione del quale il giudicante e' investito  sicche'  solo  entro
questi limiti il giudicante solleva il dubbio  di  costituzionalita'.
Potrebbe infatti anche ritenersi che (in conformita'  con  la  scelta
della menzionata convenzione di New York gia' ratificata  dall'Italia
con l'art. 2, della legge 5/2013), l'art. 24 Cost. da una  parte  non
consenta ostacoli all'accertamento ed alla condanna per fatti di tali
gravita' ma, nel  giudizio  comparativo  con  i  valori  del  diritto
internazionale costituzionalmente  compatibili,  imponga  invece  una
limitazione sul piano della esecuzione del giudicato  ritenendo  solo
questo  ulteriore  segmento   della   giurisdizione,   indebitamente,
invasivo della sovranita' dei singoli Stati. 
    E rimettendo quindi solo la coercizione  dell'obbligo  accertato,
secondo l'auspicio della  Corte  Internazionale  di  Giustizia,  alle
dinamiche dei rapporti  tra  organi  politici  degli  Stati  che,  si
ricorda, per decenni non  hanno  trovato  la  soluzione  a  torti  di
sconvolgente disumanita'. 
    In definitiva il  giudice  ritiene  che  non  sia  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 2 e 24 della Costituzione: 
        1)  della  norma  prodotta   nel   nostro   ordinamento   dal
recepimento,  ai  sensi  dell'art.  10,  primo  comma  Cost.,   della
consuetudine internazionale nella parte in cui nega la  giurisdizione
di cognizione nelle azioni  risarcitorie  per  danni  da  crimini  di
guerra commessi, "iure imperii" dal  Terzo  Reich,  almeno  in  parte
nello Stato del giudice adito; 
        2) dell'art. 1, della legge 848 del  17  agosto  1957,  nella
parte in cui recependo l'art. 94 dello Statuto dell'Onu,  obbliga  il
giudice  nazionale  ad   adeguarsi   alla   pronuncia   della   Corte
Internazionale di Giustizia anche quando essa ha stabilito  l'obbligo
del giudice italiano di negare la propria giurisdizione di cognizione
nella causa civile di  risarcimento  del  danno  per  crimini  contro
l'umanita', commessi "iure imperii" dal Terzo  Reich  nel  territorio
italiano; 
        3) dell'art. 1, della legge 5/2013 nella parte in cui obbliga
il  giudice  nazionale  ad  adeguarsi  alla  pronuncia  della   Corte
Internazionale di Giustizia anche quando essa ha stabilito  l'obbligo
del giudice italiano di negare la propria giurisdizione di cognizione
nella causa civile di  risarcimento  del  danno  per  crimini  contro
l'umanita' commessi "iure imperii" dal  Terzo  Reich  nel  territorio
italiano. 
    Tutte   norme   la   cui   legittimita'   costituzionale   rileva
autonomamente  nel  presente  giudizio  perche'  aventi  ad   oggetto
precetti che anche singolarmente presi sarebbero idonei ad  escludere
il potere giurisdizionale dell'odierno  giudicante.  Dunque  solo  la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
di uno di essi farebbe venir meno la rilevanza degli altri.